“Il Teatro nella Pittura” di Sergio Saccomandi in mostra a Moncalieri

Sergio Saccomandi

E’ la prima volta che Sergio Saccomandi espone a Moncalieri, anche se per questa città l’artista aveva già lavorato con quella capacità espressiva che gli è propria, acquisita negli anni dell’Accademia Albertina come allievo di grandi maestri quali Paulucci e Calandri. Già titolare della Cattedra di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Torino, dal 1981 “reinventa” la vita nel Canavese, sui colli di Barbania, dove fissa la sua dimora ed il suo studio di pittore e sceneggiatore: per comporre un dipinto gli è sufficiente passeggiare nel vicino campo di grano, incorniciare nel vano della finestra il profilo degli alberi grandiosi che delimitano l’orizzonte, disegnare la facciata irregolare di una casa. Oltre alle numerose mostre collettive e personali tenutesi in Italia ed all’estero, si ricorda la partecipazione di Saccomandi in occasione della Biennale di Venezia nel 1995: una superba serie di opere che spaziano dai dipinti alle incisioni, alla grafica. Il percorso della antologica a Moncalieri, si apre con quattro belle riproduzioni di opere riguardanti la città e pubblicate nel volume “Sei e Settecento a Moncalieri”. In primis la fontana del Nettuno che i moncalieresi chiamano “Saturnio”, con uno scorcio del Palazzo del Comune che si affaccia su quella che un tempo era chiamata la Piazza Maggiore; poi l’immagine del palazzo Vassallo da Dogliani, ora Arduino, nella quale Sergio riprende il susseguirsi delle finestre illuminando con il colore solamente un grande vaso con fogliami, mentre della statua del Nettuno riprende l’immagine ora diseganta, ora avvolta in un colore bruno. Una grandiosa zucca domina, in primo piano, il foglio dedicato alla chiesa del monastero delle Carmelitane Scalze: collocata nell’orto delle monache accanto ad altri frutti autunnali, essa serve di riferimento prospettico Attesa 2003, cm 80×120 per la bella facciata, il cui coronamento è sapientemente giocato nelle tonalità dell’ocra e d’un pallido marrone. Il quarto foglio riguarda la chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Croce vista oltre la cancellata: le linee luminose della facciata di questo monumento recentemente restaurato, ricordano come a questa istituzione fosse affidata la cura dell’antico ospedale moncalierese la cui sede si affaccia sulla medesima via. La mostra prosegue con bozzetti, scenografie realizzate per gli spettacoli e fogli sapienti di grafica; infine dipinti, che traggono spunto da paesaggi o dal mistero delle “cose”, occupano le altre sale. Ai paesaggi cari all’autore fanno riscontro oggetti di uso comune, animali, il ritratto della gallina con la quale Saccomandi “conversa”, gli arredi che indicano l’attesa. Una bella ed interessante mostra, ricca di suggestioni e di illusioni in un’atmosfera natalizia quasi magica. Gian Giorgio Massara

 

Il teatro nella pittura

 

Perché ci si persuade che la pittura di Sergio Saccomandi è “il teatro nella pittura”? Che cosa l’accosta alla scena, alle sue leggi e alle sue  prerogative? Senza dubbio non è sufficiente sapere delle predilezioni del pittore ed anche della sua attività connessa con il teatro per accettare questa definizione. La ragione è un’altra e non è difficile scorgerla nelle opere: pittura scenografica non nel senso corrente del termine, ma per la presenza di un’azione che ha un suo svolgimento su un fondale, su una scena, su un proscenio. Sono i rimandi interni al dipinto tra gli elementi protagonisti-attori a riscattare ogni giustapposizione; assistiamo a una sintesi di più livelli ciascuno dei quali ha una grande fluidità di transito: un’azione recitata, una correlazione e una compenetrazione creativa dove la causalità è soltanto apparentemente debole essendo forti i legami all’interno del discorso.

Non vi sono incongruenze infatti negli accostamenti: il cesto di frutti, la ciotola con la mela, i cavoli appoggiati contro la luce su di un improbabile davanzale, il secchio che si ripresenta, gli stralci di paesaggio che compaiono in uno squarcio del quadro non vivono soltanto di se stessi, vivono correlati all’azione, alla scena, recitano uno straordinario copione, sostengono un ruolo preciso, captano il ricordo con una vividezza che può essere anche esplosione di memorie attirate nel presente della visione. Osservare un particolare sapientemente curato, puntare la propria attenzione verso un angolo lasciato bianco o azzardarsi a penetrare nell’oscura profondità che ci circonda? Pocoimporta cosa sia meglio guardare per prima e, soprattutto, non c’è alcuna fretta di vedere e sapere: è infatti lì pronta per ciascuno di noi una comoda poltrona che poco a poco ci farà scoprire particolari inaspettati, ricordi assopiti nella nostra fantasia in un mondo non ancora scoperto, dove il presente ed il passato si mescolano alla ricerca di un futuro ancora senza contorni. Così l’opera pittorica di Sergio Saccomandi ci incuriosisce, ci stimola a scrutare oggetti e scene al di là della semplice apparenza. Una buona parte delle opere esposte in questa mostra sono proprio ispirate alla Pièce “Le Sedie” di E. Jonesco, intese come momento di meditazione.Mentre da una parte è proprio la quotidianità, con i suoi particolari semplici ed abitudinari quali uno straccio, una zucca o una ciotola a tenerci ancorati alla realtà, dall’altra un mondo misterioso ed affascinante, talvolta nitido ed esaustivo, altre volte nebuloso ed offuscato ci invita a procedere, a svelare cosa si nasconde dietro la siepe, dietro quel cespuglio che domina la scena e che lascia intravvedere poco se lo si osserva soltanto superficialmente. Da quello stesso cespuglio dove ci è consentito osservare, ci sentiamo però altrettanto osservati, siamo attori e spettatori nel medesimo tempo di uno spettacolo che ci appartiene e che ci fa rivivere o intuire attimi della nostra vita che all’improvviso possono svanire in un “battere d’ali”. Così il piccolo passero appoggiato sulla poltrona può tramutarsi in un tramite fra noi e la nostra coscienza, fra quel che siamo e quel che vorremmo essere fra la realtà e l’immaginazione. La pittura viene così a sconfinare nel teatro. Adelina Rodolico Gariglio

Saccomandi, pittore, attore, scenografo…

Pittore e attore, scenografo questo è Sergio Saccomandi due diverse personalità, due complessi momenti espressivi, due risvolti di una stessa volontà di comunicare, di scandire il fluire dei giorni, di riscoprire e configurarsi con una globale dimensione artistica. La pittura, prima del teatro, rappresenta, però, la parte iniziale del suo itinerario, l’indiscussa misura di un’interpretazione del vero che nel tempo è divenuta sempre più mentale, sofferta, risolta all’insegna di un “dire” mai interamente e definitivamente acquisito, questo perché Saccomandi non si accontenta dei risultati conseguiti, ma ricerca sempre ulteriori approdi conoscitivi. Un’attività, quella di Saccomandi, ricca di interessi, fondamentalmente segnata dall’uomo, dalle sue vicende, dalla sua ricerca di verità, di silenzi, di luci, di luoghi della memoria e dalla memoria il fascino di una scena completamente buia, di una voce recitante, di un albero immerso nel verde tenero di mattini primaverili, di un monologo inquieto e inquietante dove ancora si sente l’urlo liberatorio di Ginsberg, il surreale richiamo a un mondo incontaminato, forse onirico, certamente permeato da una particolar sospensione psicologica che si traduce in esplodenti illuminazioni, in dipinti dal raggelato realismo, dove tutto è calcolato, collocato in una struttura precostituita, talvolta irreale, attraverso una prospettiva inventata che crea un senso di disorientamento nell’osservatore. Si tratta di sensazioni che Saccomandi affida alla tela senza perdere mai di vista il sogno, una certa aria surreale, avvertibile con maggiore evidenza nei lavori precedenti, una sicurezza d’espressione che nulla concede a facili soluzioni tecniche. La solitudine dell’uomo di fronte alle avversità , la forza di reazione, la tensione che presiede alla formulazione dei suoi dipinti, si concretizza in una pittura fortemente caratterizzata, dove i frammenti della realtà si ricompongono con sorprendente unitarietà sulla superficie dei quadri o dei fogli di grafica. Dipingere offre a Saccomandi il pretesto di prevalicare la rilettura di un ambiente che lo vede, e non solo da adesso, protagonista, per consegnare all’insieme della rappresentazione il fascino indiscusso di una realtà rivisitata. Angelo Mistrangelo

 

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